Attività lavorativa svolta in ambienti non salubri e legittimità del risarcito anche del danno morale
La Cassazione – con ordinanza del 17 giugno 2022, n. 19621 – ha affermato che al lavoratore che vive temendo di ammalarsi perché svolge la prestazione lavorativa in un ambiente inquinato deve essere riconosciuto il c.d. danno morale, qualora sia provata la compressione del suo diritto alla piena esplicazione dei gesti quotidiani.
Com’è noto, l’art. 2087 c.c. recita “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Nel caso in specie, la Suprema Corte ha precisato che, stante il fatto che il lavoratore – operando in un contesto in cui non è garantita la sicurezza – subisce una patente lesione dei diritti inviolabili tutelati dalla Costituzione, le condizioni generali che portano al riconoscimento del danno morale risultano autonome rispetto al danno biologico.