La nocività dell’ambiente di lavoro dev’essere provata dal lavoratore
Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, ai fini dell’accertamento della responsabilità datoriale, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subìto, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro.
Spetta invece al datore di lavoro – una volta che il lavoratore abbia provato tali circostanze – di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ossia di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo, e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi (Cass. 1° giugno 2020, n. 10404, 6 novembre 2019, n. 28516, 19 ottobre 2018, n. 26495).
Questo principio è stato ora ribadito dalla quarta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza 30 giugno 2022, n. 5413.
Per i giudici di Palazzo Spada, quindi, compete al lavoratore l’onere di allegare il fatto costituente l’inadempimento dell’obbligo di sicurezza, nonché la prova del nesso di causalità materiale tra l’inadempimento stesso e il danno da lui subìto, mentre sul datore di lavoro graverà l’onere di provare la non imputabilità dell’inadempimento (Cass. 7 luglio 2020, n. 14082, 30 ottobre 2001, n. 13533).