Reato di mobbing ed intenzionalità lesiva del datore di lavoro
La Cassazione – con ordinanza del 3 novembre 2022, n. 32423 – ha precisato che la ricorrenza di patologie di rango psichico della dipendente non può essere valorizzata a fini risarcitori, in assenza di inadempimenti datoriali o di un’intenzionalità lesiva ai danni della stessa.
Al riguardo, la Suprema Corte ha ricordato che l’art. 52, D.Lgs. n. 165/2001 assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare la natura equivalente della mansione.
L’assegnazione a mansioni diverse, se ricomprese nel medesimo ambito formale riveniente dalla contrattazione collettiva, non può considerarsi comportamento illegittimo o inadempiente.
L’assenza di un demansionamento esclude, quindi, la valorizzazione di tale profilo come ragione di illiceità: in tal senso, è parimenti da escludere che esso possa essere valorizzato come coefficiente colposo utile ex art. 2087 cod. civ., mentre, per una qualificazione in termini di mobbing, sarebbe dovuto ricorrere un intenzionale operato finalizzato a ledere la ricorrente.