Caporalato, lotta a tutto campo
Lotta senza quartiere al caporalato. Al fine di rafforzare i controlli di contrasto e prevenzione al fenomeno del caporalato, dello sfruttamento lavorativo e del lavoro sommerso e irregolare, infatti, gli ispettori dell’Inl, inclusi quelli del comando carabinieri per la tutela del lavoro dello stesso Inl, e la Guardia di Finanza possono accedere a tutte le informazioni e a tutte le banche dati dell’Inps. Lo prevede la legge n. 101/2024, di conversione del dl n. 63/2024, inserendo la novità nell’ambito delle attività di controllo sull’assegno d’inclusione, quindi con riferimento a tutte le aziende di qualunque settore.
Inoltre, misure ad hoc sono previste in relazione al solo settore agricolo che, secondo il sentire comune, è il settore tipico del caporalato: un sistema di lotta comune; una banca dati degli appalti; e una polizza assicurativa obbligatoria a garanzia di contributi, premi e retribuzioni dei lavoratori occupati negli appalti, assistita dalla sanzione da 5.000 a 15.000 euro.
Il caporalato. Vanno sotto questo nome due distinte figure d’incriminazione:
- quella dell’intermediazione illecita, che persegue chiunque “recluta” manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizione di sfruttamento e approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
- quella dello sfruttamento lavorativo con cui è punito penalmente chiunque utilizza, assume o impiega manodopera, anche tramite l’attività d’intermediazione, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno.
Elementi della fattispecie. Sono dunque due gli elementi costitutivi per entrambi gli illeciti: lo sfruttamento lavorativo e l’approfittamento dello stato di bisogno.
Lo sfruttamento lavorativo. Secondo l’art. 603-bis del codice penale costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più “condizioni”, da intendersi tuttavia quali condizioni “di lavoro” e non quali elementi condizionanti la sussistenza del reato. Si tratta, nello specifico, dei indici da considerare tali esclusivamente (cioè meri indici dello sfruttamento), alternativi, finalizzati a indirizzare e ad approfondire gli accertamenti (si veda tabella).
L’approfittamento dello stato di bisogno. L’approfittamento è riconducibile alla strumentalizzazione a proprio favore della situazione di debolezza della vittima di un reato, per la quale è sufficiente la consapevolezza che una parte abbia dello squilibrio tra le prestazioni contrattuali.
Per quanto concerne lo “stato di bisogno”, secondo l’orientamento giurisprudenziale è riconosciuto solo quando la persona offesa, pur senza versare in stato di assoluta indigenza, si trovi in una condizione anche provvisoria di effettiva mancanza di mezzi idonei a sopperire a esigenze definibili come primarie, cioè quelle relative a beni comunemente considerati come essenziali per chiunque.
Tale elemento di reato è stato ricondotto, inoltre, a “una condizione psicologica in cui la persona si trova e per la quale non ha piena libertà di scelta e “non si identifica nel bisogno di lavorare, ma presuppone uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile, che pur non annientando in modo assoluto qualsiasi libertà di scelta, comporta un impellente assillo, tale da compromettere fortemente la libertà contrattuale della persona”.
Aggravanti speciali. L’art. 603-bis del codice penale prevede, inoltre, che se i fatti sono commessi con violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da 5 a 8 anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato e indica le aggravanti specifiche che comportano l’aumento della pena e le attenuanti (“collaboratori di giustizia”) che ne riducono, invece, l’entità (per tutto si veda tabella).
Un sistema in lotta. Il decreto legge n. 63/2024, convertito con legge n. 101/2024, al fine di consentire lo sviluppo della strategia per il contrasto al fenomeno del caporalato, che è il compito specifico affidato al “Tavolo operativo per la definizione di una nuova strategia di contrasto al caporalato e allo sfruttamento lavorativo in agricoltura”, già istituito presso il ministero del lavoro, istituisce, sempre presso il ministero del lavoro, il nuovo “Sistema informativo per la lotta al caporalato nell’agricoltura”.
Il sistema, che mira anche a favorire l’evoluzione qualitativa del lavoro agricolo e a incrementare le capacità di analisi, monitoraggio e vigilanza sui fenomeni di sfruttamento dei lavoratori nell’agricoltura, costituisce uno strumento di condivisione delle informazioni tra le amministrazioni statali e le regioni, anche ai fini del contrasto del lavoro sommerso in generale. Alla sua costituzione concorrono il ministero del lavoro, il ministero dell’agricoltura, il ministero dell’interno, l’Inps, l’Inail, l’Inl, l’Agea (agenzia per le erogazioni in agricoltura e l’Istat, ciascuno mettendo a disposizione i dati in possesso relativi ai rapporti di lavoro delle aziende agricole.
La Banca dati degli appalti. La seconda misura specifica per l’agricoltura è istituita dall’art. 2-quinquies del dl n. 63/2024, convertito con legge n. 101/2024, al fine specifico di rafforzare i controlli in materia di lavoro e legislazione sociale. Si tratta di una nuova banca dati, istituita presso l’Inps con contenuti sia in forma analitica sia aggregata, alla quale accede il personale ispettivo dell’Inl, del comando carabinieri per la tutela del lavoro, della Guardia di finanza e dell’Inail.
Alla banca dati vengono iscritte le imprese, in forma singola o associata, che intendono partecipare agli appalti in cui l’impresa committente sia un’impresa agricola, secondo la disciplina rimessa a un decreto non ancora emanato anche in relazione ai contenuti. Tra l’altro, verranno fissati i requisiti della polizza fideiussoria assicurativa a garanzia dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, nonché delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti impiegati nell’appalto.
La stipulazione o l’esecuzione del contratto di appalto in violazione delle nuove norme comporterà l’applicazione, a carico di committente e appaltatore, di una sanzione da 5.000 a 15.000 euro, senza applicazione della procedura di diffida. L’irrogazione della sanzione impedirà inoltre, per un periodo di un anno a decorrere dalla notifica dell’illecito, l’iscrizione o la permanenza nella Rete del lavoro agricolo di qualità.