Termine, stop and go più ampio
Salvagente in arrivo sulla successione dei rapporti a termine privi dei periodi cuscinetto (il c.d. stop and go). Infatti, non saranno trasformate a tempo indeterminato le riassunzioni a termine entro 10/20 giorni (le c.d. zone cuscinetto) in attività stagionali, intendendosi per tali non solo quelle individuate dal dpr n. 1525/1963, ma anche quelle individuate dai contratti collettivi.
A stabilirlo è l’art. 11 del ddl lavoro, da oggi all’esame in commissione lavoro al senato, con una norma d’interpretazione autentica dell’art. 21 del dlgs n. 81/2015 (dunque valida anche per il passato). Lo stop and go. Il contratto a termine può essere liberamente sottoscritto fino a una durata di 12 mesi; oltre, e fino 24 mesi, a certe condizioni.
Se un lavoratore viene riassunto a termine entro 10 giorni dal precedente contratto di durata fino a 6 mesi, ovvero entro 20 giorni se di durata oltre 6 mesi, il secondo rapporto si trasforma a tempo indeterminato. Sono esclusi da questa sanzione i contratti per attività stagionali. Infatti, l’art. 21, comma 2, del dlgs n. 81/2015 stabilisce che i «periodi cuscinetto» non si applicano ai lavoratori impiegati in attività stagionali previste con dm del ministro del lavoro (non ancora adottato, per cui continua a valere l’elenco previsto dal dpr n. 1525/1963), nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi. L’interpretazione autentica.
L’art. 11 del ddl lavoro, introdotto alla camera, prevede una norma d’interpretazione autentica, quindi con effetto retroattivo, del citato art. 21 sulla disciplina che esclude le attività stagionali dai c.d. periodi cuscinetto, in particolare su ciò che concerne le fattispecie di attività stagionale individuabili dai contratti collettivi. In base alla norma vigente, le attività stagionali possono essere individuate dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale e da contratti aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali o dalla rappresentanza sindacale unitaria.
In base alla norma che verrà (art. 11 del ddl lavoro), le ipotesi individuabili dai contratti collettivi sono più ampie del concetto di «stagionalità» comprendendo «le attività organizzate per fare fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa», anche se già previste dai contratti collettivi sottoscritti alla data d’entrata in vigore del ddl lavoro (ecco il salvagente per chi ha assunto, prima del ddl lavoro, in attività stagionali previste dai Ccnl). Il periodo di prova.
L’art. 7 del dlgs n. 104/2022 stabilisce che il periodo di prova non può durare più di sei mesi e che il periodo è prolungato dei giorni di assenza per malattia, infortunio, maternità e paternità obbligatori. Relativamente ai rapporti a termine, stabilisce che la durata è fissata in misura proporzionale alla durata del contratto, alle mansioni e alla natura dell’impiego. In caso di rinnovo del contratto per le stesse mansioni, infine, prevede che il rapporto non possa essere soggetto a un nuovo periodo di prova.
A tutto ciò il ddl lavoro aggiunge che, fatte salve le norme più favorevoli dei ccnl, la durata va fissata in 1 giorno di effettiva prestazione per ogni 15 di calendario, a partire dalla data d’inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata non può essere inferiore a due né superiore a 15 giorni per i rapporti con durata fino a sei mesi, e a 30 giorni per quelli di durata superiore a sei e inferiore a 12 mesi.