Inquadramento Inps per l’Inail
L’inquadramento ai fini previdenziali dell’Inps vale anche ai fini Inail. A ribadirlo è la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 28531 del 6 novembre 2024 confermando il principio per cui a decorrere dall’entrata in vigore della legge n. 88/1989 la classificazione dei datori di lavoro, operata dall’Inps sulla scorta dei criteri dettati dall’art. 49 di tale legge, ha effetto a tutti i fini previdenziali e assistenziali e, quindi, anche ai fini dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall’Inail.
L’inquadramento spetta all’Inps.L’inquadramento (ovvero la classificazione di un datore di lavoro, cioè un’azienda o lavoratore autonomo con dipendenti assunti) ha una particolare importanza, perché determina la misura della contribuzione dovuta. Con questa operazione, il datore di lavoro è inquadrato (appunto) in un settore economico e merceologico in relazione all’attività effettivamente esercitata con i lavoratori dipendenti.
All’inquadramento provvede l’Inps, per quanto riguarda i contributi ai fini previdenziali (pensioni, etc.) e assistenziali (malattia, maternità, etc.); l’Inail, per quanto riguarda il pagamento dei premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
L’inquadramento ai fini Inail.L’inquadramento fatto dall’Inail, tuttavia, non è un’operazione completamente autonoma: deve risultare, infatti, sempre conforme all’inquadramento fatto dall’Inps. Pertanto, l’Inail effettua il suo inquadramento in via “provvisoria” per poi procedere a un’eventuale “rettifica”, a partire dalla data d’inizio dell’attività, in caso di inquadramento diverso operato dall’Inps. Soltanto in alcuni limiti casi particolari, operano delle deroghe (indicate in tabella).
La questione dell’autonomia di classificazione. La disciplina sull’inquadramento dei datori di lavoro è contenuta nella legge n. 88/1989 che, in via di principio, stabilisce che all’operazione vi provveda l’Inps. Ciò ha prodotto, nel tempo, il dibattito in giurisprudenza in merito alla validità dell’inquadramento e successive variazioni operate dall’Inps nei confronti di tutti gli altri enti.
Un dibattito che ha messo a confronto da una parte i favorevoli alla tesi dell’esclusività dell’inquadramento operato dall’Inps, quindi per tutti i fini previdenziali e per tutti gli enti di previdenza; dall’altro i favorevoli a un potere di inquadramento limitato dell’Inps, perché in parte affidato anche agli altri enti.
Sulla questione, oltre a numerose pronunce della Cassazione, è intervenuta la Corte costituzionale (sentenza n. 378/1994, da cui n’è scaturita la riforma della legge n. 662/1996), facendo notare, tra l’altro, la necessità di uniformare l’operazione d’inquadramento per mettere fine a evidenti situazioni di disparità all’epoca esistenti, in presenza di identiche attività imprenditoriali, ma classificate diversamente a seconda dell’ente di riferimento.
A partire dal 1° gennaio 1997, pertanto, l’inquadramento dell’Inps, secondo i criteri dettati dall’art. 49 della legge n. 88/1989, è unico e valido per tutti i datori di lavoro (si veda altro articolo in pagina).
Ultimo atto.Come prima accennato, in virtù della disciplina vigente l’Inail opera il proprio inquadramento in via “provvisoria”, procedendo successivamente all’eventuale rettifica, con effetto retroattivo dalla data d’inizio dell’attività, in caso l’Inps effettui un inquadramento diverso.
Ciò è successo a un datore di lavoro che, non convinto dell’interpretazione dell’art. 49 della legge n. 88/1989, ha impugnato il provvedimento di rettifica dell’Inail. La questione è arrivata in Cassazione, con il datore di lavoro che contesta l’inquadramento operato dall’Inps e l’applicabilità automatica all’Inail. Già in secondo grado, in realtà, la Corte di appello aveva accertato che l’Inps aveva disposto l’inquadramento e osservato che l’Inail, «senza margini di apprezzamento, doveva conformarsi, ai sensi del cit. art. 49, al provvedimento adottato dall’Inps».
Secondo la Corte di Cassazione, la sentenza impugnata dal datore di lavoro è corretta, perché con essa la Corte di appello ha «rettamente applicato il principio» sull’inquadramento previdenziale. Principio da sempre affermato dalla giurisprudenza della corte di Cassazione e a cui si allinea anche con la recente ordinanza n. 28531 del 6 novembre, dandone continuità. Principio secondo cui «a decorrere dall’entrata in vigore della legge n. 88 del 1989 la classificazione dei datori di lavoro operata dall’Inps sulla scorta dei criteri dettati dall’art. 49 della stessa legge ha effetto a tutti i fini previdenziali ed assistenziali… e, quindi, anche ai fini dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali».