Il novellato art.29, D.Lgs. n.276/03: una nuova fonte di contenzioso giuslavoristico
L’articolo 29, D.Lgs. n.276/03, nella formulazione antecedente all’entrata in vigore della Legge Europea n.122 del 7 luglio 2016, aveva avuto il merito di porre fine al dibattito giurisprudenziale sull’annoso tema della possibile applicazione della disciplina relativa al trasferimento d’azienda alla fattispecie del cambio d’appalto.
Infatti, il menzionato art.29 chiariva espressamente che “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”.
Recentemente, i servizi della Commissione Europea (Caso EU Pilot 7622/15/EMPL), nel valutare la compatibilità della suddetta norma con la disciplina prevista a livello europeo, hanno ritenuto la stessa in contrasto con le regole comunitarie e, nello specifico, con la direttiva 2001/23/CE del Consiglio, nella misura in cui nei cambi di appalto restringerebbe ingiustificatamente – a danno dei lavoratori – l’ambito di applicazione delle garanzie in tema di trasferimento d’azienda di cui all’art.2112 cod.civ..
Per evitare di incorrere in una procedura d’infrazione, il Parlamento italiano – dopo aver inizialmente ipotizzato addirittura l’abrogazione dell’art.29, D.Lgs. n.276/03, con una conseguente applicazione indiscriminata delle previsioni in tema di trasferimento d’azienda a tutte le ipotesi di subentro di un nuovo appaltatore – ha optato per una più cauta modifica dell’art.29, da cui tuttavia rischia di trarre origine un nuovo fronte di contenzioso giuslavoristico in materia di appalti. Infatti, secondo il novellato art.29, nei casi di acquisizione del personale da parte del nuovo appaltatore è esclusa l’applicazione della disciplina dettata dall’art.2112 cod.civ. soltanto se:
- il nuovo appaltatore è dotato di una propria struttura organizzativa e operativa;
- siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità d’impresa.
L’evidente genericità della formulazione adottata dal Legislatore (ad esempio, cosa si intende con “elementi di discontinuità”?) presta il fianco a una libertà esegetica in sede giudiziale che non gioverà alla certezza del diritto e sarà inevitabilmente fonte di contenzioso.