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Autore: mondolavoro

AdE: trattamento fiscale delle somme derivanti da restituzione di contributi

L’Agenzia delle Entrate, con interpello n. 86/2024, ha fornito chiarimenti in ordine al trattamento fiscale relativo alla restituzione di somme connesse a contributi versati in periodi con doppia contribuzione.

La fattispecie presa in esame è caratterizzata da una continua modificazione dell’ente previdenziale di iscrizione, per via di un’alternanza di fondo tra svolgimento di lavoro subordinato ed autonomo (in qualità di dottore commercialista, con iscrizione alla relativa cassa).

In tale contesto si inserisce la restituzione nel corso dell’anno 2023 di una somma, da parte della Cassa Nazionale di Previdenza dei Dottori Commercialisti relativamente a somme versate in periodi connotati da doppia contribuzione, le quali non potranno essere utili ai fini del ricongiungimento.

I quesiti posti dall’istante sono di due ordini.

In primo luogo viene richiesto quale debba essere il regime di tassazione delle somme così restituite, ed in seconda battuta, vengono chiesti chiarimenti in merito al regime impositivo delle somme erogate a titolo di interessi, atteso che il ristoro effettuato dalla cassa previdenziale è stato effettuato al lordo di tali somme.

Rispetto al primo quesito, posto che il regime impositivo naturale da applicare sarebbe quello della tassazione separata, viene chiarito dall’Agenzia che in alternativa è possibile ricorrere anche alla tassazione ordinaria, previa indicazione dell’importo rimborsato a titolo di contribuzione nella dichiarazione (da ascrivere a reddito complessivo e non soltanto a quello professionale).

In ordine al secondo quesito, inerente al regime impositivo da applicare alla maggior somma differenziale restituita a titolo di interessi, l’Agenzia precisa che, non rientrando tale riconoscimento in nessuna delle tipizzazioni reddituali previste dal TUIR, la stessa non debba essere assoggettata a prelievo fiscale.

Infortunio sul lavoro e onere della prova in capo al datore di lavoro

La Cassazione – con sentenza del 5 aprile 2024, n. 9120 – ha affrontato nuovamente la tematica afferente l’infortunio sul lavoro, precisando che il lavoratore che vuole ottenere il risarcimento del danno conseguente all’infortunio subito non è tenuto ad allegare l’individuazione delle specifiche norme di cautela violate, in particolar modo se non si tratta di misure tipiche o nominate ma di casi in cui le modalità di conformazione del luogo di lavoro ai requisiti di sicurezza possono essere molteplici.

In tal senso, la Suprema Corte ha chiarito che il lavoratore in questione deve allegare:

  • la condizione di pericolo insita nella conformazione del luogo di lavoro, nella organizzazione o nelle specifiche modalità di esecuzione della prestazione, e
  • il nesso causale tra la concretizzazione di quel pericolo e il danno psicofisico sofferto.

Al contempo, sul datore di lavoro incombe l’onere di provare l’inesistenza della condizione di pericolo oppure di aver predisposto tutte le misure atte a neutralizzare o ridurre, al minimo tecnicamente possibile, i rischi esistenti.

Assenza alla visita di controllo INPS e legittimità del licenziamento

La Cassazione – con sentenza del 28 marzo 2024, n. 8381 – ha affermato che l’assenza alla visita di controllo del lavoratore in malattia è giustificata se la stessa ha avuto esito negativo perché l’INPS non ha considerato l’indirizzo che il lavoratore gli ha comunicato, nonostante tale comunicazione andasse fatta piuttosto al datore di lavoro, che non all’Istituto previdenziale.

In tal senso, la Suprema Corte ha affermato che al lavoratore spetta il risarcimento e la reintegra nel posto di lavoro, andando comminata la sola multa (quale sanzione disciplinare) per aver omesso la comunicazione al datore di lavoro del cambio di indirizzo ai fini della reperibilità.

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