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Autore: mondolavoro

Lavoro tra familiari: la Fondazione studi analizza la Cassazione n. 4535/2018

La Fondazione studi consulenti del lavoro, con approfondimento del 7 maggio 2018, ha analizzato le motivazioni della sentenza n. 4535/2018 della Corte di Cassazione, che ha riconosciuto come lecito il lavoro tra familiari, in contrasto coi verbali ispettivi Inps, che tendono a negare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, privilegiando, non sempre a ragione, la prevalenza del legame familiare.

La Fondazione pone l’accento sugli indici oggettivi stilati dalla Suprema Corte per riconoscere un effettivo inserimento organizzativo e gerarchico aziendale: l’onerosità della prestazione; la presenza costante presso il luogo di lavoro previsto dal contratto; l’osservanza di un orario (nella fattispecie coincidente con l’apertura al pubblico dell’attività commerciale); il “programmatico valersi da parte del titolare della prestazione lavorativa” (del familiare); la corresponsione di un compenso a cadenze fisse.

Permesso di soggiorno per motivi familiari: svolgimento di attività lavorativa nelle more del rilascio

Il Ministero del lavoro, con nota n. 4079 del 7 maggio 2018, ha offerto chiarimenti circa la possibilità per i cittadini stranieri di svolgere attività lavorativa nelle more del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari. Il Dicastero chiarisce che i soggetti richiedenti permesso di soggiorno per motivi familiari possono iniziare a svolgere attività lavorativa, nel rispetto degli obblighi e condizioni previsti dalla normativa vigente, avvalendosi ai fini della prova del regolare soggiorno sul territorio dello Stato e della possibilità di instaurare un regolare rapporto di lavoro, della semplice ricevuta postale attestante la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari.

Infatti, il permesso di soggiorno per motivi familiari consente al cittadino straniero di svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo sul territorio italiano fino alla scadenza dello stesso e senza la necessità di convertirlo in permesso per lavoro subordinato, pertanto la disposizione di cui all’articolo 5, comma 9-bis, T.U. Immigrazione (relativo al soggetto richiedente permesso per lavoro subordinato), può trovare applicazione anche in tali casi.

Malattia professionale: lo svolgimento di attività a rischio ha funzione probatoria

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 5 aprile 2018, n. 8416, ha stabilito che la previsione nella tabella di cui agli articoli 139, D.P.R. 1124/1965, e 10, D.Lgs. 38/2000, di un’attività lavorativa come fattore che, con elevata probabilità, può cagionare una specifica malattia, va considerata nell’ottica non della presunzione di origine professionale e dell’inversione dell’onere della prova, ma della rilevanza probatoria e dell’assolvimento del carico probatorio: in tal caso, il lavoratore non deve anche fornire la prova delle singole sostanze a cui è stato esposto nel corso dell’attività di lavoro, essendo tale prova assorbita da quella dello svolgimento dell’attività inclusa nella predetta tabella.

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