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Autore: mondolavoro

Contratti a termine più rischiosi


I rapporti a termine tornano a essere super rischiosi per i datori di lavoro. Dal 17 settembre, il giudice che dichiari illegittimo un rapporto a termine trasformandolo a tempo indeterminato può fissare un risarcimento del danno superiore a 12 mesi di retribuzione (limite massimo fino al 16 settembre), qualora il lavoratore dimostri di aver subito un maggior danno. Maggior danno che può essere, ad esempio, un lungo periodo di contenzioso che va dall’impugnazione fino alla sentenza (che può arrivare dopo vari anni).

A stabilirlo è il dl n. 131/2024, pubblicato in GU n. 217/2024 e in vigore da ieri, che modifica una delle novità del Jobs Act, prevista dall’art. 28, commi 2 e 3, del dlgs n. 81/2015.

L’illegittimità dei contratti a termine

La novità riguarda le sanzioni accessorie nei casi di rapporti a termine illegittimi e dal giudice trasformati a tempo indeterminato. In questi casi il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno che, fino all’entrata in vigore del dl n. 131/2024, è pari a un’indennità onnicomprensiva d’importo tra minimo 2,5 e massimo 12 mensilità dell’ultima retribuzione.

L’indennità ristora per intero il pregiudizio subìto dal lavoratore, comprese le conseguenze sia retributive e sia contributive relative al periodo tra la scadenza del termine e la sentenza di ricostituzione del rapporto di lavoro.

Sempre fino all’entrata in vigore del dl n. 131/2024, inoltre, in presenza di contratti collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il massimo dell’indennità è ridotto a metà (quindi il risarcimento va da 2,5 a 6 mensilità).

Il risarcimento deciso dal giudice

Il dl n. 131/2024 apporta due novità. Prima: nel lasciare valida, di principio, la misura minima e massima dell’indennità di risarcimento spettante al lavoratore nei casi di trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato (tra 2,5 e 12 mensilità), introduce la facoltà per il giudice di fissare l’indennità in misura superiore, se il lavoratore dimostra di aver subito un maggior danno. Seconda novità: l’abrogazione della riduzione del limite massimo a 6 mensilità (la metà di 12), in presenza di contratti collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati a termine.

Le misure per la pubblica amministrazione

Il dl n. 131/2024 interviene anche sul risarcimento del danno nei casi di violazione (abuso) di contratti a termine nel settore pubblico, che mai possono comportare l’assunzione a tempo indeterminato. Fatta salva la facoltà al lavoratore di provare il maggior danno, il giudice fissa l’indennità da 4 fino a 24 mensilità dell’ultima retribuzione.

Altra novità del dl n. 131/2024, infine, interessa il lavoro stagionale degli stranieri extraUe: la previsione di una sanzione, da 350 a 5.500 euro, che assiste il divieto, già previsto, per i datori di mettere a disposizione del lavoratore straniero alloggi privi d’idoneità alloggiativa o a un canone eccessivo (superiore, cioè, a un terzo della retribuzione).

TFR: definito dall’ISTAT il coefficiente di agosto 2024

L’ISTAT – con comunicato del 16 settembre 2024 – ha reso noto che per il calcolo del TFR da corrispondersi ai lavoratori tra il 15 agosto 2024 ed il 14 settembre 2024, la quota di TFR accantonata, deve essere rivalutata utilizzando l’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, pari a 120,1.

Al riguardo, si ricorda che per determinare il coefficiente di rivalutazione del TFR, è necessario:

  • disporre dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati diffuso ogni mese dall’Istat;
  • calcolare la differenza in percentuale tra il mese di dicembre dell’anno precedente e il mese in cui si effettua la rivalutazione;
  • calcolare il 75% di tale differenza;
  • aggiungere ogni mese il tasso fisso di 0,125 che su base annua è pari a 1,500.

La somma tra il 75% (c) e il tasso fisso (d) è il coefficiente di rivalutazione (pari a 1,756939).

Incapacità naturale del lavoratore e termine di decadenza per l’impugnazione del licenziamento


La Cassazione – con ordinanza del 5 settembre 2024, n. 23874 – ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, legge n. 604/1966, nella parte in cui, nel prevedere che “il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale,” fa decorrere, anche nei casi di incolpevole incapacità naturale del lavoratore licenziato, processualmente accertata e conseguente alle sue condizioni di salute, il termine di decadenza dalla ricezione dell’atto, anziché dalla data di cessazione dello stato di incapacità.

Al riguardo, la Suprema Corte ha rimesso la questione di legittimità alla Corte Costituzionale.

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