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Esame revisori legali, no alle modifiche

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Il recepimento della direttiva sulla Corporate social responsibility (Csrd), se il decreto legislativo non sarà modificato, porterà nuovi e «ingiustificati» obblighi formativi, oltre che un aumento eccessivo dei compiti, in capo al revisore legale. Un impianto che va a modificare l’esame di abilitazione all’esercizio della revisione legale e il sistema di attestazione della rendicontazione di sostenibilità, non tenendo conto delle competenze già maturate dalla categoria.

È la posizione espressa dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (Cndcec), che ieri è intervenuto in audizione davanti alle commissioni riunite giustizia e finanze della Camera proprio per discutere del recepimento della «nuova» Csrd (direttiva 2022/2464).

Le nuove materie

Il decreto aggiunge altre quattro materie all’esame di abilitazione all’attività di revisione, ovvero:

  1. obblighi legali e principi concernenti la redazione della rendicontazione annuale e consolidata di sostenibilità;
  2. analisi della sostenibilità;
  3. procedure di dovuta diligenza in relazione alle questioni di sostenibilità;
  4. obblighi legali e principi di attestazione della conformità per la rendicontazione di sostenibilità.

Commercialisti contrari

A parlare in audizione è stato Maurizio Masini, consigliere nazionale dei commercialisti delegato alla revisione legale: «il recepimento non sembra giustificare l’ulteriore aggravio di obblighi formativi in capo al revisore della sostenibilità rispetto a quanto già previsto per la revisione di bilancio. Sarebbe auspicabile mantenere allineato il numero dei crediti formativi richiesti al revisore legale rispetto al revisore della sostenibilità e agire, piuttosto, attraverso una diversa ripartizione delle materie oggetto della formazione continua, opportunamente integrata dagli aspetti attinenti alla sostenibilità».

Secondo il Cndcec, tanto per l’aggiornamento della regolamentazione per l’esame di abilitazione quanto per l’attestazione della conformità della rendicontazione di sostenibilità, si dovranno «tenere in debito conto le competenze e le conoscenze specifiche in materia di rendicontazione e di attestazione della rendicontazione di sostenibilità già riconosciute dal nostro ordinamento professionale».

Come affermato ancora da Masini «è del tutto evidente che non vi è nessuna volontà del legislatore europeo di moltiplicare le prove di esame per svolgere l’attività di rendicontazione della sostenibilità, nei casi in cui il possesso di quelle conoscenze sia già stato accertato».

Compiti troppi ampi

Un altro punto contestato, come detto, riguarda l’ampliamento dei compiti in capo al comitato per il controllo interno e la revisione contabile, che viene considerato «ingiustificato». Secondo Masini «l’attribuzione di una vigilanza specifica e distinta sulla sussistenza delle procedure attuate dall’impresa per individuare le informazioni comunicate nella rendicontazione di sostenibilità in conformità agli standard di rendicontazione sembra si possa già ritenere inclusa nell’ambito della generica vigilanza sull’efficienza e la funzionalità del sistema amministrativo-contabile e del monitoraggio del processo di informativa finanziaria e, ove applicabile, della rendicontazione di sostenibilità».

Un unico punto, invece, viene definito «condivisibile». Si tratta della possibilità di scegliere di non esercitare l’opzione contenuta nella direttiva di consentire che un prestatore indipendente di servizi di attestazione della conformità rilasci l’attestazione della conformità della rendicontazione di sostenibilità. «Lo svolgimento di tali servizi da parte dei soli soggetti iscritti nel registro», ha concluso Masini, «garantisce l’effettiva tutela dei destinatari della rendicontazione della sostenibilità, nonché l’integrità e la qualità dei servizi di attestazione medesimi».

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