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Interessi bilanciati nei bandi

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Un «bilanciamento tra gli interessi» sulla questione equo compenso nei bandi pubblici.

La definizione arriva direttamente dal comunicato stampa diffuso al termine del Consiglio dei ministri del 21 ottobre, che ha approvato un dlgs di modifica del codice dei contratti pubblici, intervenendo anche sull’equo compenso. Il bilanciamento è tra gli interessi dei professionisti e il rispetto dei conti pubblici, un aspetto tra l’altro già anticipato dal ministro alle infrastrutture e i trasporti Matteo Salvini a inizio ottobre.

In quell’occasione, il titolare delle infrastrutture aveva dichiarato come fosse necessario applicare la norma senza far sballare i conti. La soluzione trovata va a scoraggiare i ribassi negli appalti, garantendo negli affidamenti diretti (sotto i 140 mila euro) un 20% massimo di ribasso.

Un compromesso tra le parti. Come si legge nel comunicato, quindi, le modifiche chiariscono «i termini di applicabilità della legge sull’equo compenso al settore dei contratti pubblici, in modo da operare un bilanciamento tra gli interessi». In tale ottica, vengono introdotti specifici criteri per «l’affidamento dei contratti relativi ai servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 140 mila euro».

Per prima cosa, i corrispettivi dovranno essere determinati secondo le modalità previste dal decreto Parametri, ovvero il dm su cui si basa l’intera normativa sull’equo compenso, visto che contiene le indicazioni per definire i compensi professionali. Questi corrispettivi sono utilizzati dalle stazioni appaltanti «ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara, comprensivo dei compensi, nonché degli oneri e delle spese accessori, fissi e variabili».

Il 65% è garantito. Le stazioni procederanno all’aggiudicazione dei contratti «sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo», nel rispetto di questo criterio: per il 65% dell’importo da porre a base di gara, «l’elemento relativo al prezzo assume la forma di un prezzo fisso». Il comunicato del Cdm spiega come tale specificazione «consente di individuare la componente non ribassabile dell’importo complessivo, in coerenza con il principio dell’equo compenso».

Il restante 35% potrà essere oggetto di ribassi, ma sempre con limitazioni: le stazioni avranno l’obbligo di stabilire un tetto massimo per il punteggio economico, entro il limite del 30%, in modo da «valorizzare la componente relativa all’offerta tecnica e dunque, l’elemento qualitativo della prestazione oggetto dell’affidamento».

Nella nota diffusa dal ministero delle infrastrutture si parla di una nuova tutela sull’equo compenso «con meccanismi di calmierazione del peso dei ribassi che possono essere formulati sul 35% del corrispettivo, con un risultato sostanziale assimilabile a quello degli affidamenti diretti». Per gli affidamenti diretti, con importo inferiore di 140 mila euro, i ribassi non potranno essere superiori al 20%, quindi ci sarà l’80% del compenso garantito.

Dall’Anac al Cdm. L’intervento chiarificatore segue mesi intensi di polemiche relative all’applicazione dell’equo compenso nei bandi pubblici. Tutto partì dalla delibera Anac 101 del 28 febbraio 2024, con cui si stabiliva, in sintesi, che: sono legittimi i bandi di gara che per l’affidamento di servizi tecnici ammettono la formulazione di un unico ribasso, su corrispettivo e spese; è legittimo non applicare la legge sull’equo compenso ed è inammissibile l’eterointegrazione del bando di gara.

Una posizione che fu fortemente contestata dagli ordini professionali e che fu protagonista di varie pronunce in tribunale, alcune delle quali hanno dato ragione all’Anac, altre che hanno accolto la posizione degli ordini (l’ultima dal tribunale di giustizia amministrativa di Bolzano, sentenza n. 231 del 9 ottobre 2024, che afferma la necessità di rispettare l’equo compenso nei bandi).

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