Pensioni, privilegi a vita
Il privilegio di «vecchi iscritti» alla previdenza non si perde mai. Neanche dopo la pensione, nel caso si ricominci o si continui a lavorare. A precisarlo è l’Inps nel messaggio 3748/2024, con placet del ministero del lavoro, in merito alla disapplicazione del c.d. massimale contributivo, attualmente di 119.650 euro.
Pertanto, il massimale (che opera come limite di retribuzione oltre il quale non si pagano più i contributi e non si matura la pensione) non si applica mai al «vecchio iscritto» (chi già lavorava al 1° gennaio 1996), ma solo e soltanto al «nuovo iscritto» (chi ha cominciato a lavorare dal 1° gennaio 1996). Se la rioccupazione avviene in attività libero-professionale, si applicano le regole dalla propria cassa di previdenza.
La prima riforma. La riforma Dini delle pensioni (legge n. 335/1995) ha (re)introdotto il sistema contributivo di calcolo delle pensioni, fissando il percorso di graduale abbandono del sistema retributivo all’epoca vigente (siamo nell’anno 1995). Lo spartiacque è stato fissato al 1° gennaio 1996: chi a tale data risultava iscritto a una forma di previdenza obbligatoria (Inps, casse di previdenza, etc.) assume la denominazione di «vecchio iscritto» e può continuare a beneficiare del vecchio sistema retributivo di calcolo della pensione, anche relativamente al pensionamento.
Gli altri che, invece, si sono iscritti alla previdenza a partire da tale data (1° gennaio 1996) assumono la denominazione di «nuovi iscritti» e sono destinatari del sistema contributivo di calcolo e di accesso alla pensione. Ciò in via di principio; ma diverse norme nel tempo, ne hanno smussato la rigidità. Un esempio: il «nuovo iscritto» che ottiene l’accredito di contributi relativi a periodi antecedenti al 1996 diventa «vecchio iscritto».
Il massimale contributivo. Tra le prerogative riconosciute alle due categorie di lavoratori (vecchi o nuovi iscritti), una è relativa all’obbligo di contribuzione da parte del datore di lavoro.
In particolare, solo i nuovi iscritti sono destinatari di un «massimale contributivo», vale a dire un limite di retribuzione, raggiunto il quale, il datore di lavoro non è più tenuto a versare contributi (e, ovviamente, non si matura neppure la pensione). Tale massimale contributivo, attualmente pari a 119.650 euro, non si applica, invece, ai «vecchi iscritti».
Il reimpiego dopo la pensione. Proprio in relazione al massimale contributivo è stato chiesto all’Inps di chiarire se, nel caso di reimpiego oppure di prosecuzione del rapporto di lavoro successivamente al conseguimento della pensione da parte di un lavoratore «vecchio iscritto», tale qualificazione continui a restare valida ai fini della disapplicazione del massimale contributivo e pensionabile.
L’Inps si è rivolto al ministero del lavoro il quale ha chiarito che «il reimpiego del lavoratore in un momento successivo alla liquidazione di un trattamento pensionistico non determina il venire meno dello status di “vecchio iscritto” originariamente acquisito».
Perciò, la data di prima iscrizione a forme pensionistiche obbligatorie, compresi gli enti privati gestori di forme di previdenza obbligatoria, continua a rimanere valida ai fini dell’applicazione del massimale (o non applicazione), indipendentemente dall’eventuale fruizione di una pensione.
Più autonomia alle casse. Il ministero, inoltre, ha precisato che qualora dopo il pensionamento il soggetto intraprenda un’attività libero-professionale, che richieda l’iscrizione presso un cassa professionale, tale attività è sottoposta alla specifica disciplina adottata in materia dall’ente di riferimento (cioè alle regole previste dalla cassa).