Rinunce e transazioni: interpretazione della volontà negoziale delle clausole di stile
La Cassazione Civile, Sezione Lavoro, con ordinanza 14 ottobre 2020, n. 22213, ha stabilito che, in presenza di un atto sottoscritto dal lavoratore, che il datore di lavoro assuma espressivo di una volontà abdicativa o transattiva dello stesso dipendente, il primo compito del giudice è quello di determinare il reale contenuto dell’atto, secondo le norme legali di ermeneutica contrattuale, in quanto applicabili ai negozi unilaterali, avendo in particolare presente che la generica dichiarazione di stile del lavoratore, di non aver altro a pretendere, è di per sé solo irrilevante, ove non sia accompagnata dall’indicazione dell’oggetto – che a pena di nullità deve essere determinato o determinabile – della rinuncia. Rientra, infatti, nei poteri del giudice del merito, il cui esercizio non è sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, lo stabilire, attraverso la corretta applicazione delle norme del codice civile sull’interpretazione della volontà negoziale, se una dichiarazione, sottoscritta da un lavoratore subordinato, di essere stato soddisfatto dal proprio datore di lavoro di ogni spettanza e di non avere più nulla da pretendere, integri o meno una rinuncia o transazione, soggetta al termine semestrale d’impugnazione, di cui all’articolo 2113, cod. civ..