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Visto di conformità riservato ai professionisti iscritti agli ordini

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Tributaristi esclusi dal rilascio del visto di conformità. La riserva verso i professionisti ordinistici (art. 35, dlgs 241/1997) non è illegittima, visto che «permane una diversità sostanziale tra le due categorie di professionisti» (ordinistici e non). E non è neanche irragionevole limitare la possibilità di rilascio ai «professionisti iscritti a ordini, che, avendo superato un esame di Stato per accedere agli albi ed essendo soggetti alla penetrante vigilanza degli ordini anche sul piano deontologico, sono muniti di particolari requisiti attitudinali e di affidabilità, a garanzia degli interessi dell’amministrazione alla corretta esecuzione dell’adempimento».

È quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza 144/2024 depositata ieri, che trova le sue basi nel giudizio di legittimità avanzato dal Consiglio di stato a seguito del ricorso dell’associazione di tributaristi Lapet.

Palazzo Spada, rimettendo la questione alla Corte, aveva espresso forti perplessità sulla normativa che, ad avviso dei giudici, era «incontestabilmente in grado di determinare una restrizione del mercato», estendendo «in via di fatto la riserva di attività anche ad attività pacificamente liberalizzate». Parere opposto da parte della Consulta che, quindi, ha giudicato legittime costituzionalmente le disposizioni che limitano l’apposizione del visto ai professionisti iscritti ad ordini e albi.

Soddisfazione dei commercialisti

Una decisione che è stata accolta con favore dal Consiglio nazionale dei commercialisti (Cndcec), che aveva da subito espresso una posizione netta anche a seguito della sentenza del Cds e che, ora, trova conferme nelle parole della Corte: «Nella sentenza si osserva che nessuna equiparazione è praticabile tra professionisti appartenenti al sistema ordinistico e coloro che non sono organizzati in ordini o collegi», commenta Elbano de Nuccio, presidente del Cndcec, «dal momento che la legge 4/2013  ribadisce il divieto per i professionisti non organizzati, anche se iscritti alle associazioni, di svolgere un’attività riservata dalla legge a specifiche categorie di soggetti».

Differenza tra ordinistici e non

Uno dei punti cardine della posizione del Consiglio di stato, ripreso poi anche dalla Corte, riguarda «il mutamento del quadro normativo» a seguito dell’approvazione della legge 4/2013 , che ha introdotto il sistema delle professioni non ordinistiche (tra cui i tributaristi). Secondo palazzo Spada, infatti, l’approvazione della legge 4 rendeva non più praticabile la riserva «in quanto l’ordinamento consente ai tributaristi, benché non iscritti in ordini o collegi, di operare come consulenti fiscali, di predisporre e trasmettere le dichiarazioni fiscali, nonché di trattare e conservare i dati contabili». Una tesi non accolta dalla Consulta.

Per prima cosa, si ricorda come la stessa legge 4/2013 abbia «ribadito il divieto per i professionisti non organizzati, anche se iscritti alle associazioni, di svolgere un’attività riservata dalla legge a specifiche categorie di soggetti» (comma 6, articolo 2). Inoltre, «non rileva che le associazioni professionali siano inquadrate in un sistema pubblicistico di vigilanza ministeriale» (l’elenco delle associazioni tenuto dal Mimit).

Infatti «è vero che le associazioni promuovono la formazione dei propri iscritti, adottano un codice di condotta e stabiliscono le sanzioni», ma «l’esercizio di tali funzioni, in violazione delle regole di condotta, potrebbe comportare al massimo, sul piano deontologico e disciplinare, l’esclusione dell’associato dall’associazione, in base alle regole statutarie e civilistiche, senza incidere direttamente sulla continuità dell’esercizio della professione».

Riserva legittima

La Corte, quindi, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale avanzate, chiudendo la sentenza con le seguenti parole: «la scelta operata dal legislatore non è sproporzionata, in quanto una disciplina meno restrittiva, che consentisse il rilascio del visto di conformità a chiunque presti liberamente consulenza fiscale, non offrirebbe le medesime garanzie di attitudine, di affidabilità e di sottoposizione dei professionisti a controlli stringenti, che possono condurre alla sospensione o alla cessazione della loro attività».

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